100 lire per comprare un paio di grosse chewingum, oppure per tentare la fortuna in una strana macchinetta dove, dopo il rilascio di 3 piccole palline da masticare, bisognava sparare la moneta e farla entrare in una feritoia su misura per riaverla indietro.
100 lire da conservare nel salvadanaio. Quello senza tappo, di terracotta. Quello che se avevi bisogno di qualche spicciolo mica si poteva aprire. Lo si rompeva, mandandolo in frantumi, appena non entrava più nemmeno una moneta.
Quelle stesse 100 lire che si usavano per fare una bella ed emozionante partita ai videogiochi, la domenica mattina. Magari a Donkey Kong, uno dei miei giochi preferiti.
Quello che leggerete adesso non vuole essere una vera e propria recensione… è più da considerarsi il simpatico ricordo di uno straordinario videogioco. Ma per raccontarvi di Donkey Kong, inevitabilmente dobbiamo iniziare da un coin op grazie al quale Jumpman e la scimmia hanno preso vita: Radar Scope.
Negli anni 80, in pieno splendore Nintendo, il presidente della sezione americana Minoru Arakawa volle provare ad esportare alcuni cabinati che in Giappone avevano riscosso grande successo.
Così decise che era arrivato il momento di far conoscere ai giovani americani Radar Scope, uno sparatutto tra Galaxian e Space Invaders, commissionando migliaia di unità, sicuro della sua geniale intuizione. Ma quando finalmente il cabinato arrivò in america, tutte le previsioni e le speranze di una buona accoglienza svanirono in fretta. Il gioco non piacque affatto ed il sonoro dava così fastidio con i suoi trilli acuti che, piuttosto di attirare curiosi e nuovi giocatori, li allontanava.
Arakawa fu accusato di essere il responsabile di tale disastro. Cercò di riscattarsi, senza farsi prendere dal panico per il clamoroso flop, chiese al suocero Hiroshi Yamauchi (presidente Nintendo dal 1949 al 2002) di inviargli presto un nuovo gioco come rimpiazzo.
Yamauchi lo accontentò, incaricando un giovane e sconosciuto (fino ad allora) progettista industriale, Shigeru Miyamoto, il quale si occupava principalmente di disegnare giocattoli.
Così iniziò l’avventura di Miyamoto nel mondo dei videogiochi (non avendo alcuna esperienza di programmazione).
L’incredulo ragazzo, piuttosto che modificare il gioco andato male in America, volle creare un nuovo progetto. Quella mossa gli avrebbe cambiato la vita.
Avviò la progettazione con le idee molto chiare: il terrificante e pericoloso gorilla, l’agile e coraggioso eroe e l’incantevole fanciulla da salvare. Una sceneggiatura perfetta. Fin qui tutto bene, ma ben presto le limitazioni hardware misero a dura prova i programmatori. Aggirate le limitazioni grazie alle idee del giovane disegnatore, come quella di mettere un cappello al personaggio principale per evitare il movimento dei capelli e aggiungere un bel paio di grandi baffi per separare il naso dal mento, nacque Donkey Kong.
Un gameplay del tutto differente rispetto ai videogiochi provati dai frequentatori di bar e sale giochi, con una grafica fantastica.
Nel primo quadro “the glider” il baffuto carpentiere, per salvare la sua adorata Pauline, saliva lungo l’impalcatura grazie alle scale, schivando e saltando i barili lanciati dallo scimmione. In alternativa poteva anche distruggerli con un micidiale martello.
Il secondo livello “pie factory” metteva a dura prova il protagonista, che si trovava sopra dei pericolosi nastri trasportatori, cercando di non farsi abbrustolire dai fuochi vaganti.
La fase successiva “the elevator” era un meraviglioso e difficile ambiente pieno di piattaforme e ascensori che rendevano la vita del nostro eroe assai difficile richiedendo un tempismo perfetto.
L’ultimo quadro “rivets“, apparentemente più facile, consisteva nel togliere da un’alta impalcatura 8 bulloni, facendo cadere Donkey Kong e salvando così la sua bella fidanzata.
Da quel momento tutto ricominciava da capo e ogni volta con un grado di difficoltà superiore. Tutto era perfetto. Mario (questo il nuovo nome del personaggio in onore di Mario Segale, proprietario del primo stabilimento Nintendo negli Stati Uniti) partì alla conquista del mondo.
Era iniziata la calda estate 1981 e il test fatto a Seattle nei bar era stato un successo. Ormai tutti parlavano di Donkey Kong. La sua immagine era dappertutto. Fu realizzato anche un cartoon. Per la conversione casalinga su console, Coleco ebbe l’esclusiva realizzando un prodotto molto fedele all’originale.
A breve, dopo i porting del gioco per Atari 2600 e Intellivision, come un fulmine a ciel sereno la Universal Studios denunciò Nintendo, Coleco e Donkey Kong con l’accusa di plagio, riferendosi al film King Kong.
Dopo infiniti tira e molla, la corte alla fine diede ragione alla Nintendo, costringendo la Universal a pagare un maxi risarcimento alla casa nipponica
Sono passati tanti anni e sono successe una miriade di cose.
Donkey Kong era stato trasformato in game & watch, gioco portatile a 2 schermi. Sono nati nuovi episodi. Molte conversioni per console, privati di 2 livelli di gioco, sono risultate davvero pessime come quella Atari 2600 e Intellivision. Sono apparsi dei cloni che hanno avuto un grande successo. E’ stato realizzato il film The King of Kong: A Fistful of Quarters.
Oggi, sia lo scimmione che l’impavido eroe vivono ancora grazie alle console di ultima generazione.
Sono protagonisti di mondi che tuttora affascinano e incantano come non mai.
Dal 1981 molte cose sono cambiate, ma il grande affetto che provo per quella moneta rimane indelebile.